Ricevere un’eredità è un momento complesso: da un lato c’è il peso emotivo della perdita, dall’altro la responsabilità di gestire un patrimonio che non hai costruito tu, ma di cui ora sei completamente responsabile. È proprio in questa fase che molti eredi si bloccano, rimandano le decisioni oppure si affidano alla prima voce “di fiducia”, spesso la banca di famiglia, rischiando così di commettere errori che possono avere conseguenze rilevanti nel tempo.
Invece di limitarsi a conservare ciò che si è ricevuto, è fondamentale valutare se l’eredità sia davvero allineata ai propri obiettivi, al proprio orizzonte temporale e alla propria propensione al rischio. Un supporto indipendente, trasparente e privo di qualsiasi vincolo o conflitto di interesse permette di prendere decisioni fondate, evitando scelte impulsive e trasformando il patrimonio ereditato in una risorsa utile a costruire stabilità e crescita nel lungo periodo.
L’errore del Pilota Automatico: mantenere il portafoglio del defunto
Uno degli errori più comuni è lasciare il portafoglio esattamente com’era, senza metterlo in discussione. Accade spesso per un motivo preciso: il cosiddetto bias dello status quo.
Si tende a mantenere le stesse azioni, gli stessi fondi costosi o gli stessi titoli di Stato semplicemente perché “erano di papà”, come se modificarli significasse toccare qualcosa di emotivamente delicato.
Il problema è che ciò che andava bene per il defunto non è detto che vada bene per l’erede. Cambiano l’età, gli obiettivi, il livello di reddito, la propensione al rischio e soprattutto l’orizzonte temporale. Un portafoglio costruito per un settantenne difficilmente sarà adatto a un quarantenne o a un trentenne.
Ristrutturare il portafoglio non significa “snaturare” l’eredità, ma adattarla alla vita e alle necessità di chi la riceve. È un passaggio fondamentale per evitare che scelte d’investimento nate in un contesto completamente diverso pesino negativamente sul percorso finanziario dell’erede.
Fidarsi ciecamente della “banca di famiglia”
Un altro errore molto frequente è affidarsi automaticamente alla banca dove il defunto era cliente da anni. È comprensibile: in un momento emotivamente delicato si tende a cercare continuità e a fidarsi di chi “conosceva papà da una vita”.
Ma questo meccanismo apre la porta a un rischio concreto: ricevere proposte di investimento che non hanno nulla a che fare con le reali esigenze dell’erede.
Le banche tradizionali lavorano con logiche commerciali, e nei momenti di maggiore vulnerabilità emotiva possono spingere prodotti complessi, costosi o poco efficienti, come polizze unit-linked, fondi ad alto costo o soluzioni che generano commissioni interne elevate.
Il risultato è che l’erede, nel tentativo di “fare la cosa giusta”, finisce per trovarsi vincolato a strumenti che erodono rendimento o limitano la flessibilità del patrimonio ereditato.
Un supporto realmente indipendente, privo di pressioni commerciali e conflitti di interesse, consente invece di valutare con trasparenza cosa si è ereditato, cosa mantenere e cosa ristrutturare.
La differenza è sostanziale: non si parte dal prodotto da vendere, ma dalla persona, dai suoi obiettivi e dal modo più efficiente per raggiungerli.
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La Contabilità Mentale: trattare i soldi ereditati come “soldi diversi”
Quando si riceve un’eredità, entra in gioco un noto bias comportamentale: la contabilità mentale (Mental Accounting).
Significa, in sostanza, che non consideriamo tutti i soldi allo stesso modo. Quelli ereditati vengono percepiti come “soldi diversi”, quasi separati dal resto del patrimonio, e questo può portare a decisioni poco razionali.
Per alcuni, diventano denaro facile da spendere: si fanno acquisti impulsivi, si aumentano le spese non necessarie o si bruciano capitali che avrebbero potuto generare valore nel tempo.
Per altri, avviene l’esatto opposto: la paura di “toccare” l’eredità porta a lasciarla ferma sul conto corrente, magari per anni, esponendola alla perdita di potere d’acquisto causata dall’inflazione.
Entrambi i comportamenti nascono da emozioni, senso di colpa o attaccamento e dalla difficoltà a prendere decisioni. Ma possono compromettere seriamente la solidità finanziaria dell’erede.
Una gestione strutturata permette di trasformare l’eredità in un elemento di crescita patrimoniale, anziché in una somma isolata destinata a restare ferma o a essere consumata senza criterio.
Non integrare l’eredità nella propria pianificazione finanziaria
Uno degli errori più sottovalutati è considerare l’eredità come un blocco separato dal resto del proprio patrimonio.
Accade spesso: arrivano immobili, liquidità o partecipazioni e l’erede li gestisce “a parte”, senza rivalutare la propria situazione complessiva.
Il problema è che l’eredità cambia gli equilibri: può aumentare in modo improvviso la quota immobiliare, lasciare troppa liquidità non investita oppure creare concentrazioni eccessive su singoli strumenti finanziari. Questo porta a un portafoglio sbilanciato, inefficiente e non coerente con gli obiettivi dell’erede.
Integrare l’eredità nella pianificazione significa rivedere l’asset allocation complessiva, valutare come ogni bene contribuisce al percorso finanziario personale e verificare se la nuova configurazione sia sostenibile nel tempo.
Solo così il patrimonio ereditato può diventare parte di una strategia solida, invece di restare un insieme eterogeneo di asset gestiti senza visione.
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Sottovalutare i costi e la gestione degli asset illiquidi
Molte eredità includono asset difficili da gestire: immobili, terreni, partecipazioni societarie, opere d’arte. Sono beni che sulla carta “valgono molto”, ma che nella pratica possono generare costi, vincoli e complessità operative che l’erede non sempre considera.
Un immobile ereditato, ad esempio, comporta manutenzione, tasse, tempi di gestione e, se resta sfitto, nessun flusso di entrata. In alcuni casi le proprietà immobiliari ereditate assorbono tempo, energie e liquidità che potrebbero essere utilizzate in modo più efficiente altrove.
A volte si mantiene la proprietà per ragioni affettive o perché “non si sa mai”, ma intanto il capitale resta bloccato, non produce rendimento e può persino deteriorarsi nel tempo.
Valutare questi asset con criteri oggettivi: costi, rischi, potenziale rendimento, impatto sull’asset allocation, è essenziale per decidere se mantenerli, valorizzarli o venderli.
Per farlo in modo realmente neutrale, serve un’analisi effettuata da consulenti indipendenti remunerati esclusivamente a parcella fissa.
Questo significa che il compenso rimane invariato indipendentemente dalla scelta finale dell’erede: è lo stesso sia se decide di vendere un immobile, sia se sceglie di mantenerlo, affittarlo, ristrutturarlo o acquistarne uno nuovo nel caso in cui disponga di liquidità elevata.
Come consulenti finanziari indipendenti, non possiamo per legge percepire retrocessioni o commissioni; ma soprattutto non basiamo il nostro compenso sul capitale investito né sui rendimenti del portafoglio del cliente.
Se il compenso fosse percentuale, avremmo un incentivo economico a favorire la vendita di un immobile e non a valutarne l’acquisto, anche quando sarebbe la scelta più adatta alla situazione dell’erede.
È il principio alla base del modello adottato da noi di Athena SCF, dove la parcella fissa elimina ogni possibile conflitto di interesse e permette di analizzare ogni decisione, immobiliare o finanziaria, esclusivamente in funzione del patrimonio complessivo del cliente e dei suoi obiettivi.
In questo modo la valutazione resta realmente neutrale e pienamente orientata all’interesse esclusivo dell’erede.
Prima di decidere, serve capire davvero cosa si ha
Gestire un’eredità significa confrontarsi con scelte che incidono sul patrimonio complessivo e sulla propria stabilità finanziaria futura. Non si tratta solo di valutare cosa vendere o mantenere, ma di comprendere come ogni bene, finanziario o immobiliare, si inserisce nel proprio quadro personale, quali rischi introduce e quali opportunità può offrire.
Per questo la fase iniziale è la più delicata: richiede un’analisi accurata, priva di pressioni commerciali, chiara e trasparente, basata su dati concreti, non sulle abitudini del passato o sui suggerimenti di chi gestiva il patrimonio del defunto.
Avere una lettura chiara dell’eredità consente di evitare scelte inefficaci, ridurre gli errori più comuni e impostare una gestione coerente con i propri obiettivi.
Ecco perché è fondamentale prendersi il tempo necessario per valutare tutto con attenzione: non firmare nulla in banca senza aver prima effettuato un check-up completo del patrimonio ereditato con un consulente finanziario indipendente.
Capire davvero cosa si ha tra le mani è il primo passo per trasformare l’eredità in un patrimonio più ordinato, gestibile nel tempo e coerente con la propria vita futura.