Negli ultimi anni, il mondo dell’asset management alternativo sta vivendo una profonda trasformazione.
Il modello tradizionale — in cui un gestore crea la propria società, lancia una SICAV e raccoglie capitali — sta lasciando spazio a una nuova forma di gestione esterna delegata.
Sempre più portfolio manager con background istituzionale — ex prop trader o professionisti provenienti da grandi banche d’investimento — scelgono oggi di gestire capitali in modo indipendente, ma sotto l’ombrello regolamentare di fondi o società più grandi.
È la logica dell’external management: l’idea che il talento gestionale possa operare come “satellite” esterno di un grande fondo principale, gestendo SMA (Separate Managed Accounts) o veicoli dedicati per investitori professionali.
È una tendenza già consolidata nei mercati anglosassoni.
Gruppi come Millennium, Schonfeld o Point72 collaborano ormai con team esterni di gestori specializzati, che amministrano capitali su conti separati in piena autonomia strategica.
In Europa continentale, però, il quadro normativo è ancora complesso: non esiste un percorso chiaro per un team indipendente che voglia operare legalmente su conti di terzi (IBKR, Saxo, ecc.), eseguendo ordini e gestendo portafogli per investitori qualificati.
Da qui nasce l’interrogativo centrale di molte realtà emergenti:
esiste in Italia una forma di licenza “light” che consenta di gestire SMA o conti dedicati per investitori professionali, senza dover costituire una SGR o una SIM?
È la domanda che, sempre più spesso, riceviamo da team indipendenti, ex-prop trader e società internazionali con sede a Singapore, Svizzera o UK che vogliono espandersi sul mercato europeo.
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Cosa si intende per “gestione esterna”
Con il termine gestione esterna si fa riferimento a un modello in cui un fondo principale o un investitore istituzionale affida parte della gestione a portfolio manager indipendenti, operanti come entità separate ma sotto un accordo contrattuale o regolamentato.
In pratica, il capitale rimane di proprietà del fondo o dell’investitore, mentre la gestione quotidiana viene delegata a un gestore esterno specializzato, che opera in autonomia su una porzione del patrimonio o su conti dedicati.
È una struttura di tipo “multi-manager”, in cui il fondo principale (o la società di gestione) funge da “hub” e coordina diversi sub-gestori esterni, ciascuno con la propria strategia, metodologia e asset class di competenza.
Questo modello si è affermato in particolare nel mondo hedge fund e alternative investment, dove la ricerca di alpha e la diversificazione delle fonti di rendimento rendono vantaggioso l’utilizzo di competenze gestionali distribuite.
Gestione diretta vs SMA
La differenza chiave tra gestione diretta e SMA (Separate Managed Accounts) sta nella titolarità e nella segregazione dei conti:
- Nella gestione diretta, il gestore agisce attraverso un veicolo collettivo (fondo o SICAV) in cui i capitali dei clienti sono aggregati.
- Nelle SMA, invece, ogni investitore dispone di un conto individuale intestato a sé presso un broker o una banca (es. Interactive Brokers, Saxo, Swissquote), sul quale il gestore esterno ha mandato di gestione o poteri di esecuzione ordini.
Questo approccio consente trasparenza totale, monitoraggio personalizzato e accesso diretto alla liquidità per l’investitore, senza passare attraverso strutture di pooling collettivo.
I vantaggi del modello esterno
Il modello di gestione esterna e SMA offre diversi vantaggi strategici e operativi:
- Specializzazione: ogni gestore si concentra su una nicchia o su un approccio specifico (quantitativo, macro, volatility, relative value, ecc.).
- Diversificazione strategica: il fondo principale riduce la concentrazione del rischio delegando a più gestori indipendenti.
- Trasparenza e controllo: l’investitore può monitorare in tempo reale le posizioni e la performance di ciascun gestore.
- Riduzione del rischio operativo: la segregazione dei conti tutela il patrimonio del cliente da eventuali problemi di una singola entità.
È un modello che richiede un solido framework regolamentare: i gestori esterni devono essere abilitati a operare su conti di terzi, nel rispetto delle normative sulla gestione patrimoniale e sull’esecuzione di ordini per conto dei clienti.
Il caso pratico: i team emergenti
Negli ultimi anni si è affermata una nuova categoria di operatori finanziari indipendenti: team di ex prop trader e portfolio manager con esperienza istituzionale maturata in grandi banche d’investimento o hedge fund internazionali.
Si tratta di professionisti con solide competenze quantitative e operative, track record verificabile e un approccio sistematico alla gestione, che dopo anni nel mondo corporate scelgono di costruire strutture indipendenti per gestire capitali propri o di investitori professionali.
L’obiettivo principale di questi team è ottenere una licenza che permetta loro di operare legalmente su conti di terzi — in particolare su piattaforme come Interactive Brokers, Saxo Bank o Swissquote — potendo eseguire ordini e gestire portafogli in autonomia.
Molti di questi operatori, in attesa di un inquadramento regolamentare più chiaro, utilizzano strutture ibride o estere:
- SMA (Separate Managed Accounts): conti individuali gestiti in delega o tramite mandate agreement.
- AMC (Actively Managed Certificates): strumenti strutturati che replicano le strategie di gestione, emessi da intermediari regolamentati in giurisdizioni come Jersey o Svizzera.
- Veicoli societari dedicati: entità costituite in Malta, Lussemburgo o Regno Unito, che offrono maggiore flessibilità operativa e possibilità di sub-advisory con fondi più grandi.
Tuttavia, nel momento in cui il team desidera fare il salto di qualità — passando da una struttura “research & execution” a una vera licenza di asset management, emergono numerosi ostacoli normativi, soprattutto se si intende operare in Italia o in Europa continentale.
La questione centrale diventa quindi: esiste una forma di licenza “leggera”, pensata per gestori indipendenti che operano solo con investitori professionali o istituzionali, senza la necessità di costituire una SIM o una SGR completa?
Il nodo normativo in Italia
Il principale ostacolo per i team indipendenti che intendono gestire capitali tramite SMA (Separate Managed Accounts) è di natura regolamentare.
In Italia, infatti, non esiste una licenza specifica che consenta a soggetti non autorizzati come SIM o SGR di eseguire ordini e gestire conti di terzi, anche se si tratta esclusivamente di clienti professionali o investitori qualificati.
Secondo la normativa MiFID II, l’attività di gestione individuale di portafogli richiede sempre un’autorizzazione rilasciata da CONSOB e Banca d’Italia.
Ne consegue che chi intende operare su conti dedicati (ad esempio presso Interactive Brokers, Saxo Bank o Swissquote) non può farlo legalmente se non dispone di un mandato di gestione formalizzato all’interno di una struttura autorizzata.
Le possibili alternative “light”
Pur non esistendo un regime semplificato equivalente a quello svizzero o britannico, vi sono alcune soluzioni parziali che possono consentire di avvicinarsi al modello estero:
- Gestori sottosoglia di FIA riservati
In base al Regolamento Banca d’Italia del 2015, i gestori di FIA (Fondi di Investimento Alternativi) che operano sotto determinate soglie di patrimonio possono ottenere un’autorizzazione semplificata, con requisiti patrimoniali ridotti e meno vincoli di governance.
Tuttavia, si tratta pur sempre di soggetti vigilati, e l’operatività è limitata alla gestione di FIA riservati, non alla gestione diretta di conti individuali (SMA). - Consulenza con delega d’esecuzione (MiFID II)
Una seconda via — più flessibile ma meno potente — è quella di strutturarsi come consulente finanziario indipendente (SCF) o società di consulenza che, con delega esplicita del cliente, fornisce raccomandazioni personalizzate e può inviare ordini esecutivi tramite l’intermediario depositario.
In questo caso, però, la gestione discrezionale non è consentita: il cliente deve confermare ogni operazione o autorizzare in modo specifico la delega di esecuzione. - Partnership con SGR o SIM autorizzata
L’opzione più percorribile, e quella su cui oggi si concentrano molti team emergenti, è la collaborazione con un soggetto già autorizzato.
In pratica, il team può operare come sub-advisor o gestore delegato, firmando un contratto di advisory con una SGR, SIM abilitata alla gestione.
Questo modello consente di eseguire strategie in autonomia — anche su conti IBKR o simili — pur mantenendo la piena conformità normativa e il controllo del rischio in capo al soggetto autorizzato.
I limiti operativi e di compliance
Ogni soluzione “light” comporta inevitabili limitazioni.
L’attività di gestione esterna, anche se svolta in modo professionale e trasparente, non può essere esercitata senza licenza, pena violazione dell’art. 18 del TUF.
Inoltre, l’adozione di strutture estere non esonera dalla normativa italiana se l’attività è rivolta a investitori residenti in Italia.
Il risultato è che, a oggi, chi desidera gestire SMA o conti di terzi in modo pienamente legale ha due opzioni reali:
ottenere una licenza di gestione vera e propria (in Italia o in un altro Paese europeo con passaporto MiFID), oppure operare in partnership con una società già autorizzata.
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Come fare il salto: licenze, tempi e costi
Per un team indipendente che desidera passare da una struttura operativa basata su SMA o AMC a una licenza di gestione vera e propria, il salto è tutt’altro che immediato.
In Italia, come emerso chiaramente nel confronto, non esiste una scorciatoia normativa: per poter gestire capitali di terzi con discrezionalità, serve una autorizzazione formale da parte delle autorità di vigilanza.
Le due forme principali restano la SIM (Società di Intermediazione Mobiliare) e la SGR (Società di Gestione del Risparmio).
Entrambe richiedono requisiti patrimoniali, organizzativi e di esperienza ben definiti, oltre alla presenza di figure chiave con comprovate competenze nel risk management, nella compliance e nella gestione operativa.
L’ottenimento della licenza è un processo che può richiedere diversi mesi, se non oltre un anno, e comporta un impegno economico e strutturale rilevante.
Per questo motivo, molte realtà emergenti preferiscono procedere per gradi, avviando inizialmente l’attività tramite collaborazioni con soggetti già autorizzati.
In questo modello, il team opera come sub-advisor o gestore delegato, mantenendo la propria autonomia strategica ma appoggiandosi a una SGR, SIM o SCF abilitata, che si occupa della parte regolamentare, dei rapporti con le autorità e del presidio di compliance.
È una soluzione che consente di testare il modello operativo, costruire track record regolamentato e valutare, nel medio termine, se procedere con la richiesta di licenza in proprio.
In prospettiva, il “salto di qualità” non consiste soltanto nell’ottenere un’autorizzazione, ma nel costruire un’infrastruttura di gestione conforme, scalabile e riconosciuta a livello europeo, capace di dialogare con prime broker internazionali e investitori istituzionali.
Aspetti operativi e figure richieste
Quando si passa dalla teoria alla pratica, la costruzione di una SIM o SGR comporta una serie di requisiti concreti, sia patrimoniali che organizzativi.
Il quadro emerso è chiaro: anche nella forma più “snella”, una società di gestione necessita di una struttura minima, di capitale versato e di figure professionali dedicate.
Le classi di SIM e il capitale richiesto
In Italia esistono tre principali categorie di SIM, differenziate per dimensioni e complessità operativa:
- SIM di Classe 1 – destinate a intermediari di grandi dimensioni, con capitali gestiti superiori a 1,2 miliardi.
- SIM di Classe 2 – strutture intermedie, con requisiti patrimoniali più elevati e governance articolata.
- SIM di Classe 3 – le più leggere, non interconnesse con il sistema, e pensate per realtà indipendenti di piccola scala.
È proprio quest’ultima categoria quella più adatta a team di portfolio manager indipendenti o ex prop trader.
Richiede un capitale minimo di 75.000 euro interamente versato, anche se nella pratica il capitale effettivo può salire in base ai costi fissi annui, che devono essere coperti almeno per il 25%.
I costi di mantenimento
Per una SIM di Classe 3 i costi di struttura annuali si attestano generalmente tra 200.000 e 300.000 euro, considerando la compliance, la revisione, il risk management e i software di rendicontazione.
Una SGR, invece, comporta costi nettamente superiori e un capitale iniziale minimo di un milione di euro.
La differenza è rilevante: la SIM rappresenta una forma di gestione più accessibile, ma resta comunque impegnativa.
Per confronto, una SCF (società di consulenza finanziaria) ha costi di mantenimento molto inferiori — nell’ordine dei 10-20.000 euro annui — ma non consente la gestione discrezionale dei portafogli.
Le figure obbligatorie
Anche una struttura “light” deve includere un set minimo di figure professionali riconosciute:
- Amministratori e Collegio sindacale (tre membri)
- Società di revisione esterna
- Responsabile antiriciclaggio (AML Officer) – non più esternalizzabile
- Responsabile del rischio (Risk Manager)
- Responsabile della compliance
- Back office operativo per la rendicontazione e la relazione con la clientela
- Gestori o portfolio manager effettivamente responsabili delle decisioni d’investimento
Ulteriori funzioni, come il Data Protection Officer (DPO) o l’Internal Audit, possono essere inserite solo se richieste dalle dimensioni o dalla complessità operativa.
Cosa si può esternalizzare
Una parte rilevante dei processi può essere affidata a soggetti esterni specializzati, riducendo i costi fissi senza perdere conformità.
Possono essere esternalizzate:
- la compliance,
- parte del risk management,
- l’amministrazione,
- la contabilità e
- i servizi informatici legati a MIFID e vigilanza.
Restano invece obbligatoriamente interni l’antiriciclaggio, il coordinamento del rischio, la governance e la gestione decisionale.
Conclusione
Il modello della gestione esterna sta ridefinendo il modo in cui i capitali vengono amministrati nel mondo dell’asset management.
All’estero è già una realtà consolidata: i grandi fondi distribuiscono la gestione tra team indipendenti, ciascuno con un mandato specifico, sfruttando la velocità e la flessibilità di strutture modulari come gli SMA o gli AMC.
In Italia, però, la normativa rimane più rigida e non prevede licenze “intermedie” che permettano a un gestore indipendente di operare in autonomia su conti di terzi.
Questo non significa che il percorso sia precluso, ma che richiede una visione di medio-lungo periodo: partire da collaborazioni con società già autorizzate, costruire un track record regolamentato e, solo in un secondo momento, valutare la costituzione di una struttura autorizzata propria.
Per i team emergenti con solide competenze e strategie replicabili, la sfida non è solo normativa, ma strategica e organizzativa: costruire un modello scalabile, trasparente e conforme che possa dialogare alla pari con investitori istituzionali, family office e broker internazionali.
In un mercato sempre più competitivo e frammentato, il valore non risiede solo nella performance, ma nella capacità di operare con piena legittimità e riconoscibilità.
È questa, oggi, la vera differenza tra un team di trading indipendente e un asset manager professionale.